Onorevoli Colleghi! - Nell'ordinamento italiano si sono succedute nell'arco temporale di poco più di quindici anni ben tre riforme organiche del sistema radiotelevisivo: la «legge Mammì», legge n. 223 del 1990, la «legge Maccanico», legge n. 249 del 1997 e la «legge Gasparri», legge n. 112 del 2004, tutte e tre parzialmente confluite nel testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005, di seguito denominato «testo unico». Nonostante la cospicua regolamentazione, lo scenario italiano del settore radiotelevisivo è caratterizzato da una forte concentrazione delle risorse nelle mani di due operatori configurando un sostanziale duopolio ed è, quindi, ancora oggi lontano dal trovare equilibri che, attraverso una maggiore apertura dei mercati, consentano una più incisiva tutela del pluralismo nei mezzi di informazione e, conseguentemente, del fondamentale diritto degli individui all'informazione nella sua accezione più

 

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ampia, comprendente il diritto ad informare e ad essere informati.
      L'attuale fase di transizione tecnologica rappresenta certamente l'occasione per favorire, nel passaggio alla tecnologia digitale terrestre, l'ingresso di nuove realtà imprenditoriali e per trovare nuovi equilibri in un mercato aperto; nondimeno l'attenzione deve essere alta in quanto è possibile che tale situazione possa essere utilizzata per rafforzare gli operatori che oggi dominano il mercato o, quanto meno, per trasferire le attuali posizioni dominanti dall'analogico al digitale.
      La presente proposta di legge si compone di dieci articoli con i quali si intendono introdurre pochi ma incisivi correttivi volti, in particolare, ad assicurare migliori condizioni per favorire con la transizione un nuovo assetto del mercato ed i presupposti per una maggiore qualità del servizio pubblico.
      Con l'articolo 1 viene modificato il termine ultimo per il cosiddetto «switch off», un termine attualmente in scadenza il 31 dicembre 2008, già più volte posticipato, e che il disegno di legge di iniziativa governativa (atto Camera n. 1825) attualmente all'esame della Camera dei deputati sposta al 30 novembre 2012. La proposta di legge individua come congruo e sostenibile il termine del 31 dicembre 2010 (comma 1), che diventa il termine ultimo e inderogabile per la transizione delle reti di trasmissione via etere terrestre dalla tecnologia analogica alla tecnologia digitale. La norma dispone in maniera chiara l'obbligo di separazione societaria degli operatori in ambito nazionale cosiddetti «verticalmente integrati», ovvero tra coloro che forniscono servizi e contenuti e coloro che detengono mezzi e tecnologie per la trasmissione dei segnali (operatori di rete). La concentrazione di risorse economiche e tecnologiche nelle stesse compagini societarie è uno dei fattori che impedisce l'accesso di nuovi operatori; tale misura rappresenta quindi un elemento utile per avere una più efficace applicazione delle norme e tende ad eliminare l'integrazione verticale quanto meno per chi opera in ambito nazionale, mentre per l'emittenza locale si può considerare sufficiente l'obbligo di separazione contabile tra le attività di operatore di rete e quelle di fornitore di contenuti e di servizi.
      All'articolo 1 vengono inoltre previste forme di associazione tra imprese per la gestione comune delle risorse frequenziali in un'ottica di ottimizzazione dell'uso dello spettro elettromagnetico.
      L'articolo 2 ha lo scopo di compensare alcuni limiti che erano già emersi con l'entrata in vigore della «legge Gasparri» a causa dell'introduzione del sistema integrato delle comunicazioni (SIC) e che attualmente si ritrovano anche nel testo unico. L'articolo 2, pertanto, introduce nell'articolo 43 del testo unico, nel titolo dedicato alle norme a tutela della concorrenza e del mercato, limiti ai ricavi complessivi del settore televisivo composti dal finanziamento del servizio pubblico al netto dei diritti all'erario, da pubblicità, da proventi da convenzioni e da ricavi di offerte televisive a pagamento. Tale previsione consente di evitare altre soluzioni, attualmente oggetto di proposte anche governative, che possono interferire eccessivamente con gli equilibri di mercato incidendo solo su alcuni operatori.
      L'articolo 3 ha la finalità di intervenire sull'uso ottimale della capacità trasmissiva attribuendo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di assicurare in generale l'accesso alla capacità trasmissiva da parte di fornitori di contenuti che non siano collegati o controllati da soggetti verticalmente integrati. In particolare, nella fase di transizione l'allocazione riguarda la capacità trasmissiva ceduta progressivamente dagli operatori in posizione dominante a condizioni eque e trasparenti, ferma restando la titolarità del diritto di uso delle frequenze in capo agli stessi operatori dominanti. In sede di allocazione di tale capacità trasmissiva sono comunque fatte salve quote di riserva a favore dell'emittenza locale.
      L'articolo 4 è finalizzato a favorire lo sviluppo dell'emittenza locale già destinataria di una serie di disposizioni per il ruolo di valorizzazione e di promozione
 

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delle culture regionali e locali che l'emittenza locale assolve e per il rischio che, in assenza di misure di promozione, le emittenti locali possano essere fagocitate dagli operatori dominanti dell'emittenza nazionale.
      Il comma 2 dello stesso articolo 4 prevede che i contributi in favore delle emittenti televisive locali siano assegnati in maniera tale che essi siano fruibili solo per investimenti in infrastrutture, al fine di evitare misure di sostegno che non siano dirette allo sviluppo del sistema.
      L'articolo 5 tocca il delicato tema della rilevazione degli indici di ascolto. Secondo la normativa vigente è l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che cura la rilevazione degli indici e ne verifica la correttezza metodologica. Nonostante la delicatezza di tale funzione, non appare coerente immaginare che possa essere la stessa Autorità a provvedere alla rilevazione per gli elevati costi che dovrebbe sostenere e i complessi oneri organizzativi. Appare pertanto possibile mantenere un ruolo di controllo su organismi che effettuano tali funzioni come l'Auditel (società a responsabilità limitata il cui capitale è suddiviso in parti uguali tra la RAI-Radiotelevisione italiana Spa, l'emittenza privata, nazionale e locale, e l'UPA - Utenti di pubblicità associati, che rappresenta le imprese che investono in pubblicità). Tali organismi devono però rispondere a requisiti anche di composizione definiti dalla stessa Autorità che deve anche promuovere, attraverso tavoli tecnici, procedure per assicurare il rigore metodologico e l'uniformità nelle rilevazioni a garanzia della scientificità e della rappresentatività delle rilevazioni condotte con metodo statistico. La disposizione prevede, inoltre, che alla stregua della normativa vigente in materia di sondaggi diffusi sui mezzi di comunicazione di massa, anche per i dati relativi all'ascolto debbano essere resi noti i metodi utilizzati attraverso una nota informativa che esponga un set di informazioni recanti elementi identificativi e di qualificazione della rilevazione effettuata.
      L'articolo 6 introduce una misura relativa al censimento delle infrastrutture con lo scopo di fornire maggiori elementi per impostare le future strategie. L'obbligo per gli operatori di rete di depositare presso il Ministero delle comunicazioni gli schemi completi delle loro reti e l'elenco delle frequenze a qualunque titolo utilizzate consente di acquisire elementi conoscitivi per contrastare l'accaparramento indiscriminato di risorse fatto allo scopo di bloccare i concorrenti.
      L'articolo 7 detta specifiche sanzioni per la violazione delle disposizioni a tutela della concorrenza introdotte con l'articolo 2 della proposta di legge, relativo ai limiti ai ricavi complessivi nel settore radiotelevisivo. In caso di inottemperanza agli ordini dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni conseguenti al superamento dei limiti, si prevede, previo espletamento delle procedure di accertamento previste con regolamento dell'Autorità stessa ai sensi dell'articolo 51 del testo unico, una sanzione amministrativa pecuniaria piuttosto incisiva, che arriva fino al 5 per cento del fatturato realizzato nell'ultimo esercizio. In caso di persistenza nella violazione sono previste ulteriori sanzioni che vanno dalla sospensione delle attività fino alla revoca del titolo abilitativo.
      Con l'articolo 8 viene radicalmente modificato l'assetto della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, che ancora oggi non ha trovato una dimensione efficace. Viene soppresso il complesso delle norme che disciplinano l'iter di dismissione della RAI delineato dalla «legge Gasparri», il cui esito, del tutto eventuale, è ancora lontano dal poter essere conseguito. Restano peraltro forti i dubbi sull'effettiva risposta del mercato ad un'offerta pubblica di vendita, stante i vincoli posti dall'articolo 21, comma 5, della «legge Gasparri» (divieto di detenere oltre l'1 per cento di azioni con diritto di voto e divieto di stipulare patti intesi a coordinare il diritto di voto tra soci che posseggano oltre il 2 per cento delle azioni). Peraltro, anche nel caso di alienazione resterebbe una situazione confusa per la sovrapposizione di attività commerciali finanziate con la raccolta pubblicitaria e di attività relative al servizio pubblico finanziate con il canone,
 

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per le quali non appare sufficiente l'obbligo di separazione contabile secondo lo schema ripartito in tre aggregati. Si tratta di normative non efficaci e di complessa applicazione: con l'intervento in oggetto si propone una netta separazione societaria attraverso la scissione della società RAI-Radiotelevisione italiana Spa in due società con obblighi di servizio pubblico interamente finanziate dal canone (RAI-2 e RAI-3) e una società commerciale finanziata attraverso la raccolta pubblicitaria, di cui si prevede la privatizzazione completa (RAI-1). Una soluzione simile a quella adottata in Francia nel 1987 quando, a seguito della riforma del settore radiotelevisivo, il canale TF1, ossia un intero ramo d'azienda della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, venne quotato in borsa, posto sul mercato e interamente privatizzato.
      L'articolo 9 assicura che nelle more dell'alienazione la società RAI-1 possa continuare a fruire di una quota del finanziamento pubblico.
      L'articolo 10, infine, introduce una importante novità prevedendo un meccanismo per finanziare, attraverso una quota riservata del canone di abbonamento, la diffusione di programmi che garantiscono il servizio pubblico radiotelevisivo erogati da soggetti diversi dalla società concessionaria del servizio pubblico attraverso ulteriori contratti di servizio. La norma precisa finalità, contenuti e obblighi e ha lo scopo di stimolare una produzione di qualità attingendo direttamente al mercato. In tale ottica, la proposta di legge prevede che i programmi finanziati da tali contratti abbiano un «contenuto di particolare valore» e siano rispondenti a precisi criteri. Naturalmente l'utilizzo delle risorse impone obblighi, controlli e adempimenti, come il deposito per la conservazione negli archivi storici televisivi dei programmi finanziati.
 

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